Tariffe commerciali, ecco perché Trump stava sbagliando tutto (e se n’è reso conto)


Il tema caldissimo delle ultime settimane è la politica commerciale aggressiva del presidente Donald Trump. Il capo di stato Usa aveva promesso di ripianare il grosso deficit statunitense con tariffe commerciali molto elevate, ma in pochi si aspettavano un atteggiamento così aggressivo.
Anche perché i rischi maggiori li stanno correndo proprio l’economia a stelle e strisce e la sua valuta, il dollaro.
L’errore di Trump sul dollaro e le tariffe commerciali
Praticamente da sempre, la moneta americana è la valuta di riserva mondiale. È quella più utilizzata negli scambi commerciali internazionali, e tanto gli investitori quanto le banche centrali lo utilizzano come mezzo difensivo, soprattutto nelle fasi di crisi economica. Per questo motivo in tutto il mondo c’è necessità di detenere dollari, che per lo più venivano investiti in titoli di Stato americani, che fino a prima delle tariffe commerciali di Trump erano considerati un’attività sicura e liquida.
Il ruolo di “garanzia” del dollaro
Secondo la visione di Donald Trump, il fatto di avere una valuta così forte sul panorama internazionale ha comportato il danno di avere delle esportazioni più costose (dal punto di vista di chi deve pagarle) e importazioni più economiche (dal punto di vista dei cittadini americani). Questo ha alimentato il deficit commerciale degli Stati Uniti, creando conseguenze negative anche per il settore manifatturiero delle strisce. Le tariffe commerciali avrebbero dovuto in qualche modo bilanciare questo effetto, colmando in parte il gap down tra costi e benefici.
I benefici connessi al dollaro forte
Questo ragionamento però fallisce laddove non considera i benefici che un dollaro forte ha offerto all’economia americana (e che le tariffe commerciali stanno minando). Il fatto che tutto il mondo chieda attività denominate in USD consente agli Stati Uniti di beneficiare del “carry trade“. In pratica hanno la possibilità di indebitarsi a costi molto bassi con il resto del mondo, e reinvestire poi quelle risorse in prestito in attività denominate in valuta straniera, che forniscono ritorni molto più elevati. Gli Stati Uniti hanno quindi il privilegio di finanziare il proprio deficit a costi relativamente bassi.
La crisi che ha cambiato tutto
Questa posizione privilegiata funziona soprattutto in tempi normali, mentre nei momenti di crisi gli USA finiscono per subire perdite finanziariamente rilevanti, dal momento che di solito il dollaro si rafforza e quindi le attività americane in valuta internazionali finiscono per deprezzarsi.
Nell’attuale fase di crisi, il fattore insolito è che il dollaro è precipitato, con il Dollar Index che è sceso anche sotto quota 100 (per dati aggiornati si veda Pocket Option Italia), generando una forte crisi di fiducia nei confronti delle attività americane.
Il rendimento dei Treasuries (e quindi gli interessi che l’amministrazione USA deve pagare sul suo enorme debito) è cresciuto, e con il contemporaneo deprezzamento del biglietto verde questo aumento diventa esponenziale. Ne deriva un deterioramento della posizione finanziaria, che solitamente si osserva nell’economia emergenti ma non ti aspetteresti mai dalla principale potenza economica globale.
Per questi motivi qualcuno ha fatto capire a Trump di aver tirato troppo la corda, col rischio di spezzarla irreversibilmente. Ecco perché il presidente si è piegato a più miti pretese nell’ultimo periodo, stringendo accordi con UK e Cina, e proponendo intese anche con i resto del mondo.
Inserito in Economia e finanza | Nessun Commento »