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Se il consumatore è indotto ad entrare nell’attività commerciale e non trova l’offerta promessa sul volantino la pubblicità è ingannevole.

2 Gennaio 2014 da dagata

Se il consumatore è indotto ad entrare nell’attività commerciale e non trova l’offerta promessa sul volantino la pubblicità è ingannevole.

La Corte di Giustizia UE conferma la sanzione dell’Antitrust ad un ipermercato italiano che aveva reclamizzato  un prodotto non disponibile in magazzino con lo sconto del 50%

 

Occhio al volantino pubblicitario per tutti i commercianti e più tutele per i consumatori UE. A sottolinearlo è Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, dopo la sentenza C281/12, pubblicata il 19 dicembre dalla Corte di Giustizia Europea.

I giudici della sesta sezione hanno, infatti, stabilito il principio per il quale la pratica commerciale scorretta per essere «ingannevole» deve risultare decisiva nell’indurre il consumatore non solo a un acquisto, ma anche a una scelta commerciale che diversamente non sarebbe stata effettuata, come ad esempio la decisione di entrare in un negozio.

La vicenda scaturisce da una controversia vertente la tradizionale vendita promozionale effettuata nell’abito della grande distribuzione che offre in vendita prodotti a prezzi vantaggiosi.

Nella fattispecie, la reclame è costituita dal classico volantino pubblicitario, che promette fin dal titolo «Sconti fino al 50% e tante altre occasioni speciali», anche su di un computer portatile.

Un accorto consumatore aveva proposto un esposto all’Autorità Garante per la Concorrenza e del Mercato, perché durante il periodo di validità della promozione non aveva reperito presso la sede del centro commerciale il prodotto informatico reclamizzato.

L’Autority aveva quindi censurato il comportamento della società che gestisce l’ipermercato per pratiche commerciali scorrette sanzionandola ai sensi del codice del consumo (il d.lgs. 2006/05).

Il Consiglio di Stato chiamato a pronunciarsi sulla domanda di annullamento della sanzione aveva interpellato la Corte di Giustizia.

Evidenziano i giudici europei che una pratica commerciale dev’essere qualificata come «ingannevole», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»), qualora tale pratica, da un lato, contenga informazioni false o possa ingannare il consumatore medio e, dall’altro, sia idonea ad indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. L’articolo 2, lettera k), di tale direttiva dev’essere interpretato nel senso che nella nozione di «decisione di natura commerciale» rientra qualsiasi decisione che sia direttamente connessa con quella di acquistare o meno un prodotto, e quindi anche quella che presenta un nesso diretto con quest’ultima, ossia la decisione di entrare nel negozio.

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