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L’Asl deve risarcire l’anziano caduto dalla barella del pronto soccorso.

16 Dicembre 2013 da dagata

L’Asl deve risarcire l’anziano caduto dalla barella del pronto soccorso.

Il personale ospedaliero che lascia il paziente dopo il ricovero senza protezione è negligenza. Spetta all’azienda dimostrare il rispetto delle regole della diligenza nella prestazione

 

È  una situazione drammatica ma anche tipica dei pronto soccorsi nostrani quella di lasciare anziani ammalati per ore sulle lettighe nelle stanze o nei corridoi, spesso a causa del sovraffollamento e delle difficili situazioni in cui versa il Sistema Sanitario Nazionale.

Sovente ricorda Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, associazione impegnata anche nella tutela dei malati e nella difesa contro le responsabilità professionale dei sanitari, è quindi, la giurisprudenza a bacchettare i comportamenti negligenti delle aziende sanitarie che in non rari casi sono state costrette a rispondere dei danni causati in caso di tali tipi di omissioni.

Da segnalare sul punto la sentenza della Corte di cassazione 26358, pubblicata il 25 novembre che ha stabilito la risarcibilità dei danni subiti dall’anziano ricoverato che era caduto dalla barella senza sbarre, ritenuta la sussistenza del nesso causale tra il fatto e l’evento dannoso in ragione del fatto che il personale sanitario aveva sottovalutato una situazione di pericolo e di rischio il quale, anzi, ha realizzato la negligenza e l’imperizia che violano gli obblighi contrattuali. E non solo: è a carico dell’obbligato (sanitario o struttura) la prova che la prestazione sia stata eseguita in modo diligente e che l’evento dannoso sia stato determinato da un evento imprevisto e imprevedibile.

Nella fattispecie la terza sezione civile della Suprema Corte ha accolto il ricorso degli eredi di un’ottantenne che, la notte in cui era stata ricoverata in ospedale, era caduta dalla barella priva di protezioni.

Bocciata, quindi, la sentenza della Corte d’appello di Torino con rinvio alla stessa corte in diversa composizione, che aveva rigettato la richiesta di risarcimento dei danni, quantificati in 198 milioni di lire oltre le somme dovute per le spese della retta mensile della casa di riposo.

Secondo gli ermellini, i giudici dell’appello hanno sbagliato il giudizio perché, pur risultando dagli atti di causa che tra il momento del ricovero e quello dell’ingresso in reparto si fosse prodotta la frattura del femore dell’anziana paziente, difettava però la prova, il cui onere spettava alla parte danneggiata, vertendosi in materia di responsabilità extracontrattuale, dello svolgimento del fatto, della colpa del personale, nonché del nesso causale tra il fatto e l’evento dannoso. Mentre risultava che l’anziana era stata lasciata in balia di sé stessa e su una barella senza le dovute protezioni pertanto il personale aveva sottovalutato una situazione di pericolo e di rischio che, anzi, ha configurato negligenza e imperizia che violano gli obblighi contrattuali.

In tal senso i giudici di piazza Cavour hanno rilevato che «la responsabilità sia del medico che dell’ente ospedaliero per inesatto adempimento della prestazione ha natura contrattuale, con la conseguenza che trovano applicazione il regime proprio di questo tipo di responsabilità quanto alla ripartizione dell’onere della prova. E invero, se compete al danneggiato fornire la prova del contratto (o del “contatto”) e della insorgenza della situazione patologica e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari, resta a carico dell’obbligato – sia esso il sanitario o la struttura – la prova che la prestazione sia stata eseguita in modo diligente e che l’evento dannoso sia stato determinato da un evento imprevisto e imprevedibile».

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