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Le veline alla stampa 1939-1940

11 Febbraio 2014 da agriturista

 E’ ipotizzabile che nelle organizzazioni di carattere sociale e statuale siano sempre esistiti  “persuasori occulti”, secondo le intuizioni e le teorie scientifiche esposte dal sociologo statunitense Vance Packard.[1]

Non sono sempre esistite invece le tecniche degli “opinion leaders” e le leggi statali volte ad incanalare, attraverso i mass media, l’opinione e il consenso politico di interi popoli verso scopi funzionali ad un’ideologia o ad un governo più o meno totalitario. In particolare per primo “il fascismo ha sempre teso a creare nelle masse la sensazione di essere costantemente mobilitate, di avere un rapporto diretto con il capo e di partecipare e contribuire (…) a una rivoluzione dalla quale sarebbe gradualmente nato un nuovo ordine sociale, migliore e più giusto di quello preesistente e, soprattutto, mai sperimentato prima.”[2] Dunque originale del fascismo e di Mussolini in particolare sono stati il progetto prima e la tenace volontà poi di uniformare, coinvolgendolo attivamente, un intero popolo, riottoso, creativo, diviso da mille campanilismi, “di multiforme ingegno”[3], come il popolo italiano, ad una politica dirigista e ad un regime dittatoriale per oltre venti anni. In questo contesto “la politica culturale fascista (…) ebbe incontestabilmente una sua realtà.”[4]

Abbattuto lo stato liberale in Italia, Mussolini pensò di usare stampa, istruzione di base, tutto l’apparato amministrativo dello Stato e in seguito anche nuovi e potenti mezzi di comunicazione di massa, a sostegno del suo governo.

Benché non si possa parlare di tirannia sanguinaria o di stato veramente totalitario[5], – come per la Germania Nazista o l’Unione Sovietica[6], dato che il regime fascista “non perse mai alcuni caratteri di Stato di Diritto, non conobbe ne’ il terrore ne’ il sistema concentrazionario di massa, e di totalitario ebbe solo alcuni aspetti, per un verso, mai completamente realizzati e, per un altro verso, improntati a una concezione del totalitarismo tutta diversa dal quella del nazionalsocialismo”[7] e da quella (aggiungo io) del comunismo – tuttavia la continuità ultraventennale del regime fascista ha ottenuto molti dei fini che si era prefissati.

La politica culturale fascista puntò a “tre mezzi di comunicazione basilari della cultura e dell’informazione di massa: la stampa, la radio e il cinema.”[8] Limiteremo la nostra indagine al primo, la stampa.

La stampa era allora il mezzo di comunicazione a più larga diffusione e il più adatto a trasmettere, in tempo breve e con fedeltà massima, gli umori, i desideri, le cangianti volontà, le direttive del Capo che stava a Roma, al vertice del Governo nazionale[9]. Mussolini ad un certo punto (nel “Decennale”, anno 1932) capì che “aveva bisogno di rimodellare la sua politica culturale autoritaria in funzione delle esigenze di quell’epoca moderna in cui il fascismo stava entrando.”[10]

In principio c’era l’Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio, che divenne Sottosegretariato di Stato per la Stampa e Propaganda (settembre 1934), quindi elevato al rango di ministero nel giugno successivo, crebbe ulteriormente d’importanza (nel maggio 1937) diventando Ministero della Cultura Popolare (MINCULPOP).

Alessandro Pavolini fu a capo di questo Ministero dall’ottobre 1939 al gennaio 1943[11]. Ogni mattina a mezzogiorno, come i suoi predecessori, Pavolini si recava in udienza da Mussolini a Palazzo Venezia per parlare di informazione e propaganda. Uno stuolo di funzionari, impiegati e segretarie ricevevano le direttive del Duce e le traducevano in ordini. Poi li battevano a macchina per spedirli alle case editrici, ai direttori dei giornali, alla radio, ai prefetti.

Si trattava delle famose “veline”, chiamate anche “ordini per la stampa”. Ordinavano di tacere oppure esaltare determinati avvenimenti, ingigantire o mettere il silenziatore a certi fatti, glorificare Mussolini o mettere in secondo piano chiunque gli desse ombra, discettare su comportamenti del tutto privati o impicciarsi di legittimi fatti altrui. Era buon governo?[12]

Si può rispondere che era il governo di un Duce calcolatore e cinico, determinato a esercitare il potere con ogni mezzo: “La disciplina dal basso all’alto non deve essere formale, ma sostanziale, e tipicamente religiosa, cioè assoluta.”[13].

Dagli studi accademici compiuti e da molte letture personali, ho dedotto che può essere interessante studiare il personaggio storico Mussolini in quanto “Dittatore mediatico”. Giornalista di successo per anni, divenuto Dittatore e in possesso di poteri praticamente assoluti, Mussolini seppe anche nei momenti più critici coniugare le difficoltà imposte dagli avvenimenti con i suoi fini politici e personali, manipolando con sapienza i fatti e le opinioni. Molte volte seppe nascondere la verità, la “realtà effettuale”, come direbbe Machiavelli[14]. Ebbe “la capacità di captare il consenso delle masse[15] e l’universalità dei mass media, ebbe l’abilità di diventare centro di un universo fittizio ma totalizzante”[16]

Tutto ciò mi è evidente per tutta la durata del regime ventennale, ma in modo particolare per il periodo della “non belligeranza” (1939-1940) e della “guerra parallela”(10 giugno 1940 – febbraio 1941).

“Il periodo della non belligeranza è poco conosciuto e quasi mai indagato, (probabilmente per mancanza di azioni militari da parte italiana) ma fu seguito con molta attenzione da Mussolini. Di fatto, la politica fu più ricca di temi di quanto comunemente non si creda, con prese di posizione (del Duce) del tutto autonome anche nei confronti della Germania, nonostante la firma del “Patto d’Acciaio”[17].

La politica mussoliniana di quel periodo (oltre 9 mesi dal 1° settembre 1939 al 10 giugno 1940) fu complessa, con rapporti non sempre di buon vicinato con il Vaticano, con la costante preoccupazione di tenere sotto controllo e sotto pressione guerresca il popolo italiano, culturalmente più “pacifondaio” (neologismo di Mussolini) che guerrafondaio, anche perché pervaso di cultura cristiano-cattolica (valgano ad esempio le parole evangeliche “pace in terra…” e “beati gli operatori di pace”).

Con l’aprirsi delle ostilità, l’inasprimento della censura governativa fu accompagnato da una propaganda in grande stile, efficiente e persuasiva, sostenuta e supportata da tutti gli apparati del regime. Le conquiste ottenute furono enfatizzate, gli smacchi subiti furono taciuti e camuffati. Mentre la radio diffondeva gli inni guerreschi del fascismo, i cinematografi proiettavano i cinegiornali Luce, e la stampa riportava sui giornali le direttive del Minculpop, furono diffusi capillarmente, anche sui muri dei più sperduti villaggi, slogans come “Credere, obbedire, combattere”, “Vinceremo”, “Un popolo di soldati con un esercito di cittadini”[18].

A partire dal 1° settembre 1939 un telegramma del Ministero della Cultura Popolare, firmata dal Ministro Alfieri e inviato al Prefetto di Milano, informava che:

“Allo scopo di intensificare coordinare il controllo sui quotidiani questo Ministero invierà quotidianamente alle Prefetture disposizioni impartite alla stampa. In base ad esse pregovi controllare al momento della loro uscita impostazione contenuto e fotografie dei giornali localmente editi e segnalare questo Ministero eventuali trasgressori per opportuni immediati provvedimenti punto Ritengo opportuno che a tale scopo sia da Voi designato un funzionario avente particolari attitudini in materia punto Egli potrà tenersi in frequenti contatti telefonici con questo Ministero (Direzione Stampa Italiana). Ministro Alfieri”[19].

Con lo scoppio della guerra, dunque, il prefetto di Milano venne giornalmente messo al corrente delle direttive inviate alla stampa. Attraverso una minuziosa e specifica ricerca di queste informative, conservate presso l’Archivio di Stato di Milano, ho voluto constatare in che modo i tre principali quotidiani milanesi dell’epoca (L’Italia, giornale cattolico, il Corriere della Sera, prima testata per tiratura e prestigio, e il Popolo d’Italia, quotidiano fondato da Mussolini) recepirono le “Veline” a partire dall’inizio del secondo conflitto mondiale. Una indagine appassionante e ricca di scoperte inedite che mi ha tenuto impegnato per un lungo periodo, e che ho potuto realizzare ritirandomi sui Colli Piacentini presso l’agriturismo Piacenza, un luogo ameno e tranquillo dove tra un piatto di tortelli ed un bicchiere di Gutturnio ho terminato questa fatica.

 


[1] Cfr. V. PACKARD, I persuasori occulti,  Torino, Einaudi, 1995, pag. 233

[2] R. DE FELICE, Le interpretazioni del fascismo, Bari, Laterza, 1996, pag. XIII

[3] Omero, Odissea, Canto I,1.

[4] Ph. CANNISTRARO, La fabbrica del consenso, Bari, Laterza 1975, pag. 10.

[5] Cfr. A. AQUARONE, L’organizzazione dello stato totalitario, Torino, Einaudi, 1965, pag. 291-293: “Lo Stato fascista si proclamò costantemente e con grande esuberanza di toni, Stato totalitario: ma rimase fino all’ultimo anche Stato dinastico e cattolico, quindi non totalitario in senso fascista. (…) Ma oltre alla monarchia, vi era un’altra istituzione, che ben più profonde radici aveva nella società italiana e che ben maggiore influenza esercitava sulle masse, con la quale si trattava di fare i conti nel caso che si fosse veramente voluto dare attuazione ad un programma totalitario di governo: e questi conti con la Chiesa cattolica il fascismo in sostanza, non osò mai farli (…). Con la Conciliazione, il fascismo mirò (…) a servirsi della Chiesa cattolica per accrescere il suo prestigio e rafforzare la sua posizione all’interno come all’estero. Ma così facendo, rinunciò in maniera definitiva ad egemonizzare la formazione spirituale degli italiani ed accettò una pericolosa spartizione di sfere d’influenza con la Chiesa (…).

[6] A questo proposito cfr. I crimini del Comunismo di S. COURTOIS in Il libro nero del comunismo, Milano, Le Scie – Mondadori, 1998, in particolare a pag. 15: “I fatti parlano chiaro e mostrano che i crimini commessi dai regimi comunisti riguardano circa 100 milioni di persone, contro i circa 25 milioni di vittime del nazismo. Questa semplice constatazione deve quanto meno indurre a riflettere sulla somiglianza fra il regime che a partire dal 1945 venne considerato il più criminale del secolo e un sistema comunista che ha conservato fino al 1991 piena legittimità internazionale, e che a tutt’oggi è al potere in alcuni paesi e continua ad avere sostenitori in tutto il mondo.”

[7] R. DE FELICE, op. cit., pag. XVI

[8] Ph. CANNISTRARO, op. cit. pag. 5

[9] Cfr. E. R. TANNENBAUM, L’esperienza fascista. Cultura e società in Italia dal 1922 al 1945, Milano, Mursia, 1972; pag. 247: “La stampa quotidiana era il mezzo di comunicazione più congeniale ai fascisti, il cui regime era in un certo modo il regno dei giornalisti. Oltre a Mussolini, molti altri giornalisti erano in attività come propagandisti e funzionari del partito. Alcuni erano anche critici letterari, altri si sentivano filosofi politici. In nessun’altra dittatura vi erano così tanti giornalisti che scrivevano tanto su tanti argomenti: Virginio Gayda divenne il portavoce semiufficiale del regime Forges Davanzati estese la sua attività giornalistica dalla stampa alla radio, dove i suoi commenti quotidiani avevano un grandissimo prestigio verso la metà degli anni ’30; Ugo Ojetti pontificava sulla letteratura e sulle arti. I dirigenti fascisti osservavano ugualmente la regola non scritta che la stampa era la salvaguardia di Mussolini. Mussolini dava il tono al regime continuando a perseverare nei suoi interessi giornalistici e questo tono permeava anche il ministero della Cultura Popolare.

[10] Ph. CANNISTRARO, op. cit. pag. 65

[11] Cfr. A. PETACCO,  Pavolini l’ultima raffica di Salò, Oscar Mondadori, 1988. In particolare a pag. 101s: “Il Minculpop che Alessandro Pavolini eredita da Dino Alfieri, è già una macchina ben oliata che consente al regime di controllare uno dei settori più delicati della nazione. Dipendono dal Ministero della Cultura Popolare la stampa, la radio, il teatro, il cinema ed il turismo. E si tratta di una dipendenza totale. Il Minculpop stabilisce la linea che tutti i giornali devono seguire, sceglie i direttori, indica i giornalisti da assumere o licenziare. Controlla inoltre, molto rigorosamente, l’intera programmazione radiofonica, teatrale e cinematografica, giungendo a stabilire le canzoni da trasmettere, il timbro della voce che gli speakers devono usare, le commedie che devono essere rappresentate, i soggetti meritevoli di essere trasformati in film, i registi che dovranno realizzarli e gli attori che potranno interpretarli. (…) Questo enorme potere (…) è ora nelle mani di Alessandro Pavolini. Il quale lo eserciterà in maniera controversa ora perché costrettovi dagli eventi, ora perché scavalcato da Ciano che non volle mai troncare i suoi legami diretti con gli ambienti dell’informazione. Dal punto di vista finanziario, la sua  amministrazione risulta corretta: nei suoi fascicoli personali non si trovano “rilievi” dell’OVRA riguardanti possibili malversazioni che la disponibilità di fondi neri avrebbe facilmente consentito.

[12] E. BIAGI, La seconda guerra mondiale, 3/ Le decisioni irrevocabili, pag. 143. Inserto del Corriere della Sera, 1989

[13] Ph. CANNISTRARO, op. cit. pag. 40

[14] Le dottrine politiche di Machiavelli sono ben condensate nel Principe, scritto nel 1513

[15] Cfr. anche A. M. IMBRIANI, Gli italiani e il Duce. Il mito e l’immagine di Mussolini negli ultimi anni del fascismo (1938-1943), Napoli, Liguori Editore, 1992; a pp. 95 e 96: “Nel periodo che va dalla Conferenza di Monaco (29-30 settembre 1938) all’attacco alla Grecia (28 ottobre 1940), e che include l’intervento italiano in guerra, nella vasta area della società e dell’opinione pubblica che abbiamo preso in considerazione, trova quindi credito un’immagine di Mussolini, che ha i caratteri del mito e che non corrisponde alla reale fisionomia del personaggio. Questa immagine è intessuta da una rete di simboli che possiamo esprimere e riassumere attraverso alcuni appellativi che designano il Duce: ‘Salvatore (e garante) della Pace’, ‘Figlio-Padre del popolo italiano’, ‘Giustiziere’. A Mussolini vengono, inoltre, attribuite alcune qualità, più o meno ‘straordinarie’: la genialità, la chiaroveggenza e la lungimiranza, l’abilità tattica, la saggezza, l’astuzia, il realismo. I vari appellativi simbolici del Duce mostrano come la gente proietti sulla sua immagine e sulla sua figura esigenze e valori sentiti e radicati, e come tenda ad attribuire al suo capo carismatico una ‘missione’ che avrebbe per fine proprio la tutela dei beni più cari e la realizzazione delle aspirazioni più agognate: la pace, la sicurezza materiale e morale, il benessere economico, la giustizia. Le ‘straordinarie qualità’ riconosciute a Mussolini – che gli assegnano, in definitiva, una vera e propria infallibilità – garantiscono che questa ‘missione’ sarà felicemente portata a termine. Il Duce, quindi, veste quel ruolo di Autorità protettrice e giustiziera, benefattrice della popolazione, che per secoli è stato attribuito ai re.”

[16] G. GEROSA, Mussolini, tigre di carta, articolo nell’inserto del Corriere della Sera di E. Biagi, La seconda guerra mondiale, pag. 159

[17] C. DE RISIO, La clessidra di Mussolini, Ed. Settimo Sigillo, 2000

[18] Diario della seconda guerra mondiale, De Agostini: inserto a fascicoli de  Il Giornale, 1995, passim

[19] Archivio di stato di Milano, fondo prefettura, II° versamento, busta 030 (disposizioni alla stampa 1939-1943)

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